lunedì, Ottobre 7, 2024
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Teen gang, Polizia Postale: ''Web centrale per formazione bande, monitoraggio per contrasto''


il direttore Ivano Gabrielli: ”La rete da spazio identitario a luogo pianificazione reati”

Teen gang, Polizia Postale: ''Web centrale per formazione bande, monitoraggio per contrasto''

”Ci sono due momenti nell’attività in rete delle gang giovanili: quello della propaganda e dell’ostentazione del tratto identitario di un gruppo, che quindi è pubblico e ancorché con elementi radicali è assolutamente legale, e quello della riservatezza, ovvero quando questi giovani organizzano, concordano o si scambiano materiale illegale all’interno di gruppi ristretti e chiusi in cui l’essere confidente è necessario per poter entrare a far parte del nucleo, che è nascosto all’interno di diversi cerchi concentrici di conversazione”. Lo spiega all’Adnkronos Ivano Gabrielli, direttore del Servizio Polizia Postale e delle Comunicazioni parlando del fenomeno delle teen gang, ovvero di gruppi di giovani tra i 14 e i 18 anni che compiono reati, dalle risse alle violenza sessuali.

”Le rete è centrale: è in rete che si forma un certo tipo di narrativa, la rete è il veicolo costante con cui i ragazzi comunicano, con cui si formano un’opinione, con cui si informano e con cui si sentono parte anche di un gruppo – chiarisce il direttore del Servizio Polizia Postale e delle Comunicazioni – Non c’è più solo la dinamica reale del vedersi in un luogo, frequentare lo stesso locale, vestirsi alla stessa maniera o avere gli stessi tatuaggi. Un gruppo si identifica anche per le sigle, per lo slang che utilizza in rete, per gli acronimi, per i gruppi e i canali telegram a cui accede e di cui fa parte”.

E quindi anche le ”gang giovanili” proliferano in rete attraverso ”pubblicazioni di foto, di storie, di comportamenti ma anche attraverso il lancio di challenge” e la Polizia Postale tiene costantemente sotto osservazione il fenomeno, che ”può essere ascritto all’interno di una categoria più ampia che è quella delle devianza minorile”. Il monitoraggio avviene a ”livello centrale attraverso uno studio sistematico che viene fatto dall’unità analisi del Crimine informatico, composta da un’equipe di psicologi della Polizia di Stato e che ogni volta va a sondare fenomenologie, età, comportamenti ricorrenti per comprendere quale sia il migliore intervento” sia in chiave ”preventiva che di contrasto”. Si tratta di un’attività, sottolinea, che ”concorre per quello che ci riguarda alla gestione dell’ordine e la sicurezza pubblica”.

E’ ovvio, aggiunge, che se ”queste bande o anche ragazzi singoli progettano o rilanciano iniziative, che vanno dalla rissa pubblica all’aggressione alla programmazione di atti di vandalismo o di devastazione, come è successo in alcune città, finalizzate anche al furto di oggetti di valore o di vestiario, gli elementi informativi vengono condivisi per la migliore pianificazione dei servizi di polizia da parte delle Questure e dei competenti reparti della polizia”. ”Sul versante investigativo il monitoraggio può portare anche ad attività di contrasto: indagini che si chiudono con la denuncia di ragazzi, minori o maggiorenni che siano, per quelli che sono comportamenti di reato”, spiega.

E’ accaduto per esempio con ”l’indagine che è stata fatta di recente dal nostro Centro operativo di Milano su un gruppo di ragazzi che oltre a vantare ideologie xenofobe, razziste, estremiste e suprematiste, avevano al centro delle loro conversazioni la costruzione, l’utilizzo e l’impiego di armi” sfociata nella denuncia di diversi giovani che ”non erano tutti sullo stesso territorio ma che avevano rapporti tra loro”, dice.

Un’altra indagine, racconta, ”compiuta dal nostro Centro di Genova, con la Digos locale, ha messo sotto la lente d’ingrandimento ”un gruppo di ragazzi che invece faceva della violenza la propria ragione di coesione”: i giovani autoalimentavano ”la loro perversione con la circolazione di materiale raccapricciante come esecuzioni, stupri di bambini, materiale Gore (quel materiale talmente violento la cui visione è difficile da sostenere da parte di un adulto avvezzo a cose più cupe). La loro peculiarità era quella di incontrarsi e addestrarsi all’utilizzo delle armi anche simulando scene di attentati a carico di noti personaggi politici”.

L’inchiesta sul Capodanno di Firenze, spiega ancora Gabrielli, ”ha riguardato ragazzi che facevano della loro cerchia un gruppo chiuso, dove consumare reati ovvero illeciti come il consumo di droghe e di alcol in minore età fino ad arrivare ad atti di violenza sessuale”. E sul fronte del lavoro di prevenzione, la parte più importante che deve svolgere una struttura di polizia, ricorda che ”quest’anno, grazie all’attività informativa, siamo riusciti a evitare quello che accadde due anni fa per il 2 giugno sul lago di Garda”.

Quanto ai fenomeni più estemporanei Gabrielli spiega che sono ”difficilissimi da cogliere”, bisogna ”essere costantemente in rete, diventa un’attività che non può non essere continuativa”. ”Un tempo riuscivamo a monitorare le manifestazioni osservando l’andamento dei tweet, era la preistoria – prosegue – oggi si aprono e chiudono canali su piattaforme di comunicazione difficili da penetrare. Lo abbiamo visto anche con i rave: nonostante la rete sia il veicolo con cui magari viene organizzato il rave, quello che abbiamo toccato con mano è la difficoltà di andare a individuare il canale, il messaggio corretto, la cerchia ristretta in cui effettivamente viene promossa quel tipo di manifestazione illegale – conclude – eppure si dice, è tutto in rete, è tutto davanti ai nostri occhi. Per rendere l’idea c’è un detto israeliano che dice il miglior modo di nascondere un albero è quello di piantarlo in una foresta”. (di Giorgia Sodaro)

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