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Una delle prime serial killer italiane nacque a Palermo e fu processata per stregoneria



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Quando pensiamo ai serial killer quasi sempre ci vengono in mente le immagini di qualche serie televisiva americana, i racconti gialli di Agatha Christie o le scene di qualche bel film di Hollywood. Eppure sono molte le storie macabre che sono davvero avvenute in Italia e che potenzialmente sono un ottimo materiale per dei romanzi.

Tra le più famose in Sicilia abbiamo le vicende che hanno riguardato “la vecchia dell’aceto”, al secolo Giovanna Bonanno. Una delle prime serial killer riconosciute della storia.

Ella nacque e visse a Palermo, una città molto legata alle storie dell’orrore, seppur spesso siano state dimenticate dalla memoria collettiva delle persone. Palermo infatti fu crocevia di diverse culture, patria di culti esoterici (il famoso conte di Cagliostro, protagonista di leggende e di film, nacque e visse proprio qui), luogo in cui avvennero importanti “invenzioni mortali” e una delle più importanti città mediterranee in cui l’Inquisizione operò per diversi secoli.

La storia di Giovanna Bonanno inizia sul finire del XVIII secolo, nel 1785, quando per caso scoprì che una bambina aveva rischiato di morire, dopo aver bevuto del comune aceto per pidocchi. Questa sostanza, dopo essere modificata aggiungendo piombo e arsenico, era infatti la base della famosa “acqua tofana”, un veleno potentissimo ed incolore che era stato inventato proprio a Palermo, nel 1600, e poi dimenticato.

Essendo stata vessata dal marito per tutta la sua vita, ma ormai vedova, Giovanna vide in questa sostanza non solo un mezzo per liberare diverse donne della città dalle prepotenze dei mariti violenti, ma anche un mezzo di sostentamento, utile per liberarsi dalle sue misere condizioni economiche.

Compiendo diversi esperimenti, probabilmente sui topi, Giovanna cominciò quindi ad “aprirsi” alle sue amiche, dicendo che aveva trovato un mezzo efficace per far sì che “Dio concedesse la separazione alle donne più sfortunate”.

La prima cliente si trattò proprio di una sua vicina di casa, che avvelenò il marito nell’arco di pochi giorni. Tuttavia, la prima versione dell'”acqua tofana” non sembrò funzionare, poiché la Bonanno aveva diluito troppo l’arsenico. L’uomo morì dopo diversi giorni in ospedale, soffrendo di orribili mal di pancia, mentre la moglie l’accudiva, obbligandolo ad ingerire almeno altre due dosi del “portentoso medicinale”.

La seconda cliente acquistò da Giovanna una dose potenziata, per eliminare il marito che aveva tentato di strangolarla dopo un rifiuto. In questo caso la morte avvenne in breve tempo e i medici non riuscirono neppure a capire cosa avesse colpito la vittima, poiché l’acqua tofana non lascia effetti visibili.

La confusione dei medici spinse Giovanna a vendere più frequentemente il suo veleno e presto divenne nota in tutta la città, come la “misteriosa vecchia dell’aceto”. Fu così che il quartiere della Kalsa e della Zisa, due delle più antiche delle città, cominciarono a riempirsi di misteriose morti, che indussero gli amministratori di Palermo a chiedere l’aiuto del vicerè Domenico Caracciolo.

Intanto le morti aumentarono. Moltissimi stupratori noti morirono in mezzo alla strada, mentre i mariti violenti cominciarono a temere per la propria vita. Nessuno sospettava della compiacenza delle donne palermitane, che affollavano la casa della Bonanno, provenendo da tutti i ceti sociali.

In poco tempo, all’età di 75-80 anni, la Bonanno divenne così indirettamente una delle donne più famose del suo tempo e le sue boccette misteriose cominciarono a viaggiare in tutto il regno di Napoli, tramite delle amiche che vendevano saltuariamente a loro volta il veleno a dei corrieri.

Tuttavia la fortuna di Giovanna Bonanno sarebbe finita presto. Un giorno una sua amica, Maria Pitarra, consegnò l’aceto ad una donna senza sapere chi fosse il destinatario finale. Non sapeva che esso era il figlio di una sua vicina, Giovanna Lombardo, colpevole di essersi sposato con una moglie molto bella e bramosa di soldi.

L’uomo, a differenza di molti mariti violenti, era completamente innocente, buono di cuore, e ad aggravare la situazione era anche uno dei lavoratori più rispettati della Zisa.

Maria Pitarra, scoperto il nome dell’uomo, accorse inorridita ad avvertire l’amica, sperando di poterlo salvare, ma non riuscì a farlo in tempo e si trovò davanti alla scena raccapricciante della Lombardo, che piangeva sopra il corpo ancora caldo del figlio.

Fu proprio in quel momento che i nodi vennero al pettine e il destino della Bonanno fu segnato.

Maria Pitanna rivelò all’amica il ruolo della nuora in quel decesso e spiegò anche cosa avesse ucciso il ragazzo, descrivendo in dettaglio in cosa consisteva il lavoro della “vecchia dell’aceto”. La Lombardo, dal canto suo, volle vendicarsi contro la Bonanno e l’omicidio del figlio e fingendo di voler avvelenare a sua volta qualcuno, si presentò da Giovanna, con 4 testimoni nascosti (tutti uomini importanti del suo quartiere), per comprare dell’aceto. Il suo obiettivo era dimostrare che alla Zisa viveva una strega.

Giovanna Bonanno fu beccata a produrre e consegnare il veleno e fu subito denunciata alla Corte regia di Palermo. Nell’ottobre del 1788, fu processata per stregoneria ed omicidio e dichiarata responsabile di molti delle morte denunciate in quei 2 anni a Palermo.

Furono chiamati a testimoniare 6 uomini superstiti a diversi tentativi di avvelenamento, il droghiere inconsapevole da cui la Bonanno acquistava l’aceto per i pidocchi e la nuora della Lombardo, che sfuggì alla forca grazie alla sua testimonianza.

Per un po’ di tempo la vecchia fu tenuta nelle prigioni della città, finché il tribunale non decise di impiccarla di fronte all’intera città, il 30 luglio del 1789. Non potendo inoltre definire quale cittadine avessero realmente comprato il veleno, il tribunale decise di non iniziare altri processi, poiché non esistevano elementi scientifici sufficienti che potessero indicare le colpevoli.

Oggi non sappiamo realmente quanti uomini morirono a Palermo e nel resto del regno di Napoli per colpa di Giovanna Bonanno. Secondo alcune leggende, si tratterebbero di centinaia di persone, anche se il tribunale parlò di 6 uxoricidi ufficiali. L’acqua tofana rimase tuttavia molto in voga in città e in altre aree d’Europa, venendo esportata anche all’estero per compiere diversi omicidi.

I suoi effetti erano infatti equiparabili a quelli di un avvelenamento comune e i soggetti morivano velocemente, senza dare tanto nell’occhio. Da questa vicenda il romanziere Luigi Natoli trasse ispirazione per scrivere il suo romanzo “La vecchia dell’Aceto”, da molti critici considerato uno dei primi horror/gialli storici della storia della letteratura italiana.

Anni dopo, Agatha Christie – che lavorò come assistente alla farmacia dell’University College Hospital di Londra – sarebbe venuta a contatto con l’acqua tofana mentre stava effettuando degli studi per i suoi romanzi, ma non utilizzò mai tale veleno come elemento delle sue opere.



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