Immense ondate di “rotolacampo”, spinte da venti di notevole intensità, hanno invaso città e paesi, seppellendo sotto di sé automobili, edifici e strade. Questo fenomeno, ironicamente soprannominato “tumblemageddon”, rivela l’imprevedibilità della natura ma anche e soprattutto la resilienza delle comunità locali
Sebbene esistano luoghi senza vento sulla Terra, ci sono anche zone in cui questo crea danni enormi come è successo in alcune città dello Utah e del Nevada: un assedio di “rotolacampo” ha letteralmente inghiottito case, automobili e strade seminando terrore e distruzione. Ma cosa è di grazia un rotolacampo? Anche chiamato scientificamente Salsola tragus, è una pianta non autoctona degli Stati Uniti. La sua introduzione risale agli anni ’70 del XIX secolo, quando semi contaminati furono importati dalla Russia.
Al termine del proprio ciclo vitale, i rotolacampo si staccano dal suolo, trasformandosi in palle spinose che possono percorrere chilometri. In condizioni di vento estremo come quelle registrate recentemente, può portare a veri e propri ammassi davanti alle abitazioni, creando non poche difficoltà agli abitanti. Un esempio è stato il cumulo alto 3 metri registrato fuori dal garage di un residente.
Nonostante le evidenti difficoltà e il disagio causato da questa invasione, le parole di Rachel Van Cleave, responsabile delle comunicazioni per la città di South Jordan nello Utah, riflettono un atteggiamento di resilienza e capacità di adattamento: “Per fortuna, è una situazione che sappiamo gestire. Questo non è il nostro primo tumblemegaddon”.
C’è però una conseguenza che passa inosservata ai più: l’impatto sugli ecosistemi locali. La presenza di questa specie infestante è anche un monito sull’importanza di monitorare e gestire le specie non native, che possono alterare gli equilibri ambientali locali ed eliminare quelle native.