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La conduttrice Federica Sciarelli e l’autrice Claudia Aldi, del programma “Chi l’ha visto?” su Rai3, sono state condannate per diffamazione nei confronti di Massimo Galioto, un senzatetto coinvolto nel processo per l’omicidio di Beau Solomon, uno studente americano annegato nel Tevere nel 2016. La condanna è avvenuta dopo che, in una puntata del 2019, Sciarelli ha espresso dubbi sull’assoluzione di Galioto, accusandolo di essere colpevole, mentre Aldi ha trasmesso un’intercettazione che, secondo lei, costituiva un’ammissione di colpa da parte di Galioto. Tuttavia, nel 2019, Galioto era stato assolto sia in primo che in secondo grado.

Il giudice della quinta sezione penale del tribunale di Roma ha stabilito che le due donne devono pagare una multa di 700 euro, coprire tutte le spese legali sostenute da Galioto e risarcirlo per i danni, con la somma da definire in una causa civile. L’avvocato di Galioto, Vincelli, ha messo in evidenza l’importanza di limitare i processi mediatici, che spesso si basano su tesi colpevoliste e non sulla realtà processuale, alimentando così l’odio e la cattiva informazione.

D’altra parte, Claudia Aldi ha contestato la decisione spiegando che i sottotitoli mostrati durante la trasmissione erano semplicemente trascrizioni dell’intercettazione e ha annunciato che presenterà appello contro la sentenza. Insomma, la questione legale non si conclude qui e si prevede che continuerà nel prossimo futuro.

La vicenda ha sollevato interrogativi sull’etica dei programmi televisivi che si occupano di crimine, evidenziando come la narrazione mediatica possa influenzare l’opinione pubblica e la percezione della giustizia. La situazione di Galioto, emersa in un contesto di grande visibilità, è emblematica del rischio di diffamazione che può derivare da affermazioni fatte senza un adeguato fondamento giuridico. La condanna delle due donne potrebbe rappresentare un importante precedente nel regolamento dell’attività informativa riguardante le persone coinvolte in processi penali, mettendo in luce la necessità di un maggiore rispetto per il diritto alla presunzione di innocenza.

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