Dopo quasi 50 anni si riapre l’inchiesta sulla morte del carabiniere Giovanni D’Alfonso, ucciso nel 1975 durante un’operazione contro le Brigate Rosse a cascina Spiotta, ad Arzello, in provincia di Alessandria. Bruno D’Alfonso, figlio della vittima, ha sollecitato la riapertura delle indagini tramite un esposto alla procura di Torino, che ha portato a nuove scoperte, inclusa un’impronta digitale di un brigatista presente sul luogo dell’omicidio. In seguito, è stato deciso di procedere con un processo che inizierà il 25 gennaio presso la Corte d’Assise di Alessandria.
Tra gli imputati figurano ex membri delle Brigate Rosse come Renato Curcio, Mario Moretti e Lauro Azzolini, i quali sono stati rinviati a giudizio per l’omicidio. Un quarto accusato, Pierluigi Zuffada, è stato prosciolto in quanto l’accusa è risultata prescritta. Curcio e Moretti sono accusati di corresponsabilità nell’omicidio, anche se non erano presenti al momento della sparatoria. Si sospetta che l’autore materiale della fuga dalla cascina sia stato Lauro Azzolini.
Il 5 giugno 1975, i carabinieri giunsero alla cascina Spiotta per cercare il nascondiglio delle Brigate Rosse, dopo il rapimento dell’industriale Vittorio Vallarino Gancia. La cascina era occupata da due brigatisti, tra cui Margherita Cagol, moglie di Renato Curcio. Quella che doveva essere una missione di identificazione si trasformò in uno scontro armato. L’intervento dei carabinieri portò a una reazione violenta da parte dei brigatisti, culminando in una tragica sparatoria. Durante il conflitto, Giovanni D’Alfonso fu ucciso, e anche Margherita Cagol perse la vita.
Oltre alla vittima, ci furono feriti tra le forze dell’ordine. Il tenente Umberto Rocca subì lesioni gravi a causa di un’esplosione che lo privò di un braccio e di un occhio, mentre il maresciallo Rosario Cattafi riportò ferite meno gravi. In mezzo al caos, un brigatista riuscì a fuggire, rimanendo un mistero per decenni nel contesto del terrorismo italiano. La riapertura del caso rappresenta una nuova opportunità per sollevare il velo su una delle pagine più oscure della storia italiana.