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Allarme in Nuova Zelanda, quando migliaia di anguille vengono trovate morte



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In Nuova Zelanda, una scoperta sconcertante ha turbato le acque tranquille: oltre 3.500 giovani anguille, note come elvers, giacciono prive di vita nel corso del Kauritutahi Stream, all’estremo nord dell’Isola del Nord.

Questa tragedia non è un evento isolato: segue di vicino un altro massacro che ha visto migliaia di anguille adulte perdere la vita in un altro fiume, all’altro capo del paese, solo un mese fa. Mentre la morte delle anguille adulte era stata attribuita a un inquinante tossico, la causa della morte dei giovani elvers rimane avvolta nel mistero, con le autorità ancora alla ricerca di risposte definitive.

Tuttavia, segnali preoccupanti indicano che i cambiamenti ambientali potrebbero essere i colpevoli. Hona Edwards, attivo nella tutela del Kauritutahi Stream, ha notato un progressivo peggioramento della qualità dell’acqua negli ultimi anni. Esaminando le acque a monte e a valle dopo la triste scoperta, Edwards ha riscontrato un’anomalia in tutti i parametri analizzati, compresi i livelli di ossigeno disciolto.

Abbiamo osservato un’accumulo di alghe, sintomo di un aumento della temperatura dell’acqua” ha spiegato Edwards. “Poi, la maggior parte del fiume presentava un flusso d’acqua quasi inesistente. Senza flusso, l’ossigeno disciolto si riduce e le tossine si accumulano.” Questo evento si inserisce in un contesto globale di morti di massa di pesci, da sardine e sgombri sulle coste del Giappone a carcasse di pesci in decomposizione che hanno intasato i fiumi in Australia e tra Polonia e Germania.

Sebbene la morte di massa di questi animali possa verificarsi naturalmente, studi recenti hanno evidenziato un aumento della frequenza di tali eventi, spesso legati a disturbi antropici. L’uso agricolo delle acque, le siccità, l’inquinamento e l’aumento delle temperature contribuiscono alla formazione di fioriture algali eccessive, che privano l’acqua dell’ossigeno necessario alla vita.

Le giovani anguille del Kauritutahi Stream, che avevano superato la maggior parte delle difficoltà nella loro migrazione verso l’oceano, rappresentano una vita interrotta troppo presto, in un ciclo naturale che avrebbe potuto vederle viaggiare verso regioni tropicali e vivere fino a 52 anni. La loro perdita è un campanello d’allarme che richiede un’azione immediata per proteggere i nostri corsi d’acqua, regolamentare meglio gli inquinanti a cui sono esposti e ridurre significativamente il nostro impatto sul clima.

Se lasciamo che il riscaldamento continui, le ondate di calore marine diventeranno più comuni e intense, e assisteremo a sempre più morie di questo tipo” ha avvertito il climatologo James Renwick. “Dobbiamo smettere immediatamente di bruciare combustibili fossili, perché i problemi possono solo peggiorare.



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