lunedì, Ottobre 7, 2024
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Alzheimer, il legame con il 'sonno cattivo': lo studio



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Dimostrato per la prima volta il legame diretto tra una scasa qualità del sonno e la malattia di Alzheimer. Lo studio è stato condotto da medici del centro di medicina del sonno dell’ospedale Molinette della Città della Salute di Torino e ricercatori dell’università del capoluogo piemontese, ed è pubblicato sulla rivista internazionale ‘Acta Neuropathologica Communications’. Il lavoro ha esaminato l’effetto di un sonno disturbato in topi geneticamente predisposti alla deposizione di beta-amiloide. La sola frammentazione del sonno ottenuta inducendo brevi risvegli senza modificare il tempo totale del sonno, per un periodo di 1 mese (approssimativamente corrispondente a 3 anni di vita dell’uomo) – riferisce una nota – compromette il funzionamento del sistema glinfatico, fa aumentare il deposito della proteina beta-amiloide e compromette irreversibilmente le funzioni cognitive dell’animale anche se giovane.

Il riposo notturno nei pazienti affetti dalla malattia di Alzheimer è spesso disturbato fino ad arrivare ad una vera e propria inversione del ritmo sonno-veglia, ma è stato anche osservato che i disturbi del sonno stessi (ad esempio deprivazione di sonno, insonnia ed apnee) possono influenzare negativamente il decorso della malattia. Nei pazienti con sonno disturbato, sia in termini di quantità che di qualità, si riscontra un aumento del deposito cerebrale di una proteina (beta-amiloide) implicata nella genesi della malattia di Alzheimer. Lo studio ha dimostrato che tale aumento dipende da una sua ridotta eliminazione da parte del sistema glinfatico (il ‘sistema di pulizia” del cervello, particolarmente attivo proprio durante il sonno profondo).

La ricerca, oltre a dimostrare il forte legame presente tra disturbi del sonno e malattia di Alzheimer e dimostrarne il meccanismo – prosegue la nota – porta anche a ulteriori considerazioni: in soggetti predisposti alla malattia di Alzheimer, fin dall’età giovanile, un sonno disturbato può favorire l’instaurarsi di processi neurodegenerativi; i processi neurodegenerativi stessi, caratteristici della malattia, possono a loro volta compromettere la regolazione del sonno, instaurando un vero e proprio circolo vizioso che accelera irrimediabilmente la progressione della malattia.

E ancora: non è solo la quantità del sonno ad essere rilevante, ma anche la sua ‘qualità’: infatti è solo nel sonno profondo che il sistema glinfatico può svolgere efficientemente il compito di ‘pulizia’ ed eliminazione delle sostanze neurotossiche che si accumulano in veglia; anche in assenza di altri fattori (riduzione del tempo di sonno o condizioni ipossiche), la sola frammentazione del sonno a livello cerebrale, ostacolando il mantenimento del sonno profondo, è in grado di innescare e mantenere il processo.

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