venerdì, Ottobre 4, 2024
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Anche la Sicilia nel medioevo ebbe la sua “Danza dei Draghi”



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Recentemente, diversi appassionati di fantasy hanno seguito le varie puntate della serie House of the Dragon, che racconta le vicende della guerra nota come “Danza dei Draghi”, immaginata dallo scrittore statunitense George R.R. Martin nel suo falso saggio storico Fuoco e Sangue.

Questa serie ha riportato in auge i draghi come creature imponenti e molto pericolosi da cavalcare. Tra l’altro, Martin nell’immaginare i suoi draghi decise anche di descriverli in maniera scientificamente accurata, rendendoli dei veri e propri animali e non delle semplici creature mitologiche.

Balerion, uno dei draghi più grandi della storia della letteratura fantasy, viene infatti descritto sì grande come una montagna, ma anche come una creatura che ha bisogno di cibarsi, riprodursi, di essere accudito e amato dai suoi compagni umani e dai suoi simili.

Pochi comunque sanno che anche i nostri miti italiani contengono numerose storie riguardanti poderosi draghi, le cui ali erano in grado di oscurare il Sole. Fra le regioni italiane che presentano il maggior numero di miti inerenti queste creature c’è la Sicilia, che per molto tempo è stata patria di rinomati bardi e cantastorie durante il Basso Medioevo (non a caso la Scuola poetica siciliana viene considerata la più importante del Duecento e il luogo in cui nacque la lingua italiana).

Secondo una di queste leggende, in Sicilia abitava un drago che settimanalmente seminava il panico fra le campagne dell’isola, divorando greggi, pellegrini e persino alcuni coraggiosi cavalieri, ispirati da San Giorgio. Nessuno riusciva ad abbattere la bestia e quando il drago si sentiva sazio migrava verso le pendici dell’Etna o tra le montagne del palermitano, in attesa di attaccare i convogli che giungevano nelle principali tre città del paese: Palermo, Catania e Messina.

Alla fine, il re arabo Miramolino – stanco delle perdite subite e dei danni provocati dalle fiamme del drago – fece un annuncio, che fece circolare fra tutti i cavalieri del Mediterraneo, arabi e cristiani. Avrebbe dato la mano di sua figlia Nevara, considerata la donna più bella del mondo, a chiunque avesse ucciso il drago.

Fu così che la Sicilia divenne metà di peregrinazione di diversi cavalieri da tutta Europa, che prima di competere con il drago decisero di affrontarsi a vicenda all’interno della corte di Palermo, per stabilire chi avrebbe dovuto tentare per prima l’impresa.

Alla fine, tutti i cavalieri giunti in Sicilia perirono per colpa delle lotte intestine o per il drago, finché un cavaliere cristiano di Palermo, armato solo con una spada di seconda mano, dal nome Raimondo, decise di affrontare da solo la bestia, essendosi innamorato della principessa.

Si nascose quindi al di fuori delle mura di Palermo, in atteso che il drago tornasse per rimpinzarsi con delle nuove prede, all’arrivo del nuovo convoglio.

Dopo qualche giorno, nel cuore della notte, notò che nel cielo un’enorme sfera di fuoco, più grande della stessa Luna o del Sole, puntava verso la città. Si trattava del drago, giunto a bruciare per sempre il capoluogo, insieme al re e ai suoi abitanti.

Raimondo tuttavia non si fece sfuggire l’occasione. Notò che sotto un’ala la bestia possedeva una cicatrice, a forma di croce. Ritenne questa cicatrice un indizio di quello che doveva fare. Abbandonò quindi la spada, si spogliò dell’armatura e s’inginocchiò, pregando il drago di allontanarsi per ottenere la pace.

Miracolosamente il drago svanì e al suo posto rimase per qualche istante una croce cristiana nel cielo. I soldati di Miramolino, allarmati dalla sfera di fuoco, giunsero sulle mura per capire cosa stava succedendo e trovando Raimondo ancora inginocchiato, corsero dal re per avvertire che un cavaliere era riuscito con la preghiera a battere il drago.

Fu così che Raimondo prese in moglie Nevara, divenendo un simbolo vivente dell’armonia tra i cristiani e gli arabi in Sicilia. Tuttavia, i miti non si concludono qui. Secondo la leggenda, quando la croce si dissipò nel cielo, caddero delle ceneri che resero la pianura di Palermo – la Conca d’Oro – la più fertile del Mediterraneo.

Un’altra leggenda afferma che un drago enorme perseguitava Palermo, quando la città era ancora in mano dei Punici, prima dell’arrivo dei romani, e il suo nome era Ziz, ovvero “fiore”. Il drago pretendeva di mangiare solo donne vergini per mantenere la pace e quando questo non succedeva raggiungeva il porto e distruggeva tutte le navi.

I punici disperati chiesero persino l’aiuto di alcuni soldati di ventura, provenienti dalle città greche orientali, loro nemiche, che assoldarono un ciclope dell’Etna, fratello di Polifemo, per sconfiggere il drago.

Giunto a Palermo, questo ciclope venne sconfitto e arse vivo, insieme ai soldati greci, poco lontano dalla montagna che oggi si chiama Monte Cuccio. Il drago, fra l’altro, sembrò gradire la carne del ciclope, un atto che fece infuriare Poseidone stesso, che non poté far altro che aggredire la bestia con uno tsunami (avvenuto nei pressi dell’attuale quartiere dell’Addaura e di Mondello), senza successo.

Sembrava impossibile sconfiggere il drago, finché un uomo pio di nome Pellegrino decise di raggiungere la tana della bestia, per andarci a parlare.

I due vissero insieme per circa due giorni e la leggenda non ci sa dire cosa si dissero. Tuttavia, all’alba del secondo giorno, il drago decise di abbandonare la città e alcune versioni del mito affermano che dalle sue lacrime nacquero i fiumi della Conca d’oro: l’Oreto, il Kemonia e il Papireto.

In onore dell’impresa, i punici decisero di onorare l’eroe (che non fu più visto) donando il suo nome alla montagna in cui aveva vissuto il drago, che ancora oggi si chiama Monte Pellegrino.

Oggi questa montagna fa parte di un’importante riserva naturale ed è conosciuta dagli scienziati per essere stato il luogo in cui un importante ecologo statunitense, George Evelyn Hutchinson, scoprì nella seconda metà del Novecento il concetto di nicchia ecologica e di biodiversità.

Secondo alcuni storici, la figura mitologica di Pellegrino potrebbe anche aver partecipato nella creazione di un’altra nota figura mitologica del capoluogo: il suo Genio, nume tutelare.

Infine, bisogna ricordare che secondo la leggenda sotto l’Etna si nasconderebbe Tifone, una creatura simile a un drago sconfitto dagli dei greci, e che a Ragusa sono presenti dei resti animali che secondo il mito apparterebbero al drago ucciso da San Giorgio, in età romana.

A seguito della venerazione di questo santo in epoca medioevale, in Sicilia il mito degli ammazzadraghi divenne molto popolare, tanto che il “drago” entrò immediatamente negli emblemi delle principali famiglie nobiliari.



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