sabato, Ottobre 5, 2024
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Challenge “cicatrice francese”, ora è allarme su adolescenti. Le responsabilità dei genitori e il ruolo dei media


Stringere con forza la cute del volto tra le dita, fino a lasciare un livido o un segno evidente. Lo scopo è fingere di aver avuto una colluttazione e di esserne uscito da vincente, quasi indenne. È in questo che consiste la nuova challenge che circola in rete con il nome di “cicatrice francese”. La sfida è approdata da alcuni giorni anche in Italia, a ritmi talmente sostenuti da aver spinto la Polizia Postale a diramare un Alert: «Occhio alla nuova challenge: “La cicatrice francese”».

Il ruolo dei media

Prima ancora che le forze dell’ordine facessero scattare l’allarme, la notizia era stata già diffusa da alcuni organi di stampa, rimbalzando da un sito di informazione all’altro. «E se fosse proprio questa incontrollata circolazione di notizie ad aumentarne la celebrità? – si chiede Roberta Franceschetti, esperta di media-education e cofondatrice mamamo.it -. Il fenomeno delle challenge è spesso amplificato dai media generalisti. Si racconta dell’atto di autolesionismo compiuto da un giovane senza analizzarne il contesto, né familiare, né sociale. La challenge di turno, oggi la “cicatrice francese” – in passato la “Momo Challenge”, la “Black out challenge” o la “Blue Whale Challengediventa il fulcro della storia,  quando basterebbe analizzare la vicenda più a fondo per scoprire che la “cicatrice francese” è solo la punta di un iceberg, molto più profondo e radicato».

Chi rischia di finire nella rete della challenge

La polizia postale, nel suo Alert, si rivolge ai genitori, li invita a «parlare con i ragazzi della challenge della “cicatrice francese” e, in generale, delle sfide per cercare di capire quale interesse e importanza possano avere per loro». Che un giovane si sia ferito per seguire una challenge alla moda, arrivando in alcuni casi anche a rischiare la propria vita, non significa che chiunque, in qualunque momento, solo perché adolescente, rischi di finire della rete delle challenge. «Il confine tra la vita di tutti giorni e il lasciarsi andare ad atti di autolesionismo non è così sottile. In quel confine può esserci un vissuto costellato di disagi e sofferenze, a casa, a scuola, tra gli amici, da analizzare e valutare», spiega Franceschetti.

La costruzione del sé passa per il rischio

Al di là del vissuto di ogni singolo individuo che può spingerlo a cimentarsi in una challenge, c’è un comune denominatore che, in generale, rende il concetto di sfida affascinante agli occhi dell’adolescente. «Ai ragazzini piace affrontare le situazioni-limite perché il mettersi alla prova è un passaggio necessario alla costruzione ed alla definizione della propria identità – aggiunge l’esperta -. Oggi, come ieri. Tanto che le sfide esistevano ancor prima dei social network. L’era digitale ne ha solo accelerato ed amplificato la diffusione: non ci si sfida solo con i ragazzi del proprio quartiere ma, potenzialmente, con chiunque, in qualunque parte del mondo».

La ricerca del consenso: i “like”

Ma c’è di più: il mettersi alla prova non è fine a se stesso. «I giovani sono alla ricerca del consenso, oggi espresso dal numero di “like” che il proprio post riesce ad ottenere – dice Franceschetti -. Hanno la necessità di far parte di un gruppo e la challenge può essere spesso vista come una sorta di rito di iniziazione». Ed è proprio perché il  gruppo virtuale ha la stessa importanza della compagnia di amici frequentati nel mondo reale che la Polizia Postale invita i genitori a «monitorate la navigazione e l’uso delle app social, anche stabilendo un tempo massimo da trascorrere connessi».

C’è chi predica bene e razzola male

Ma per dettare delle regole è necessario che anche chi le impone sappia rispettarle. «I social media sono stati ideati per un pubblico adulto, tanto che per aprire un profilo virtuale è necessario aver compiuto 14 anni. E, spesso, sono proprio i genitori a non usare le nuove tecnologie in modo consapevole: non è raro – conclude l’esperta – che soffrano di iperconnessione più dei loro figli».

 

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