martedì, Ottobre 1, 2024
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Come era il gelato nel 1800? Mangiarlo poteva farti morire per questo motivo



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Il gelato, che oggi associamo a momenti di piacere spensierato durante l’estate, ha avuto un passato sorprendentemente curioso. Ma la ricerca di Emily Geist, pubblicata nel 2012 sul “Bulletin of the History of Medicine”, getta luce su un capitolo poco noto della storia culinaria: l’avvelenamento durante il diciannovesimo secolo.

Immaginate un’epoca in cui assaporare un cono poteva trasformarsi in una roulette russa gastronomica. La popolarità crescente del gelato si scontrava con pratiche igieniche e di conservazione che oggi farebbero rabbrividire. I medici vittoriani, abituati a fronteggiare epidemie e malattie debilitanti, si trovarono spiazzati di fronte a pazienti che si ammalavano dopo aver gustato quello che doveva essere un innocuo dessert.

Le teorie sull’origine di questi misteriosi malesseri si susseguivano come i gusti in banco frigo. Si parlava di vaniglia tossica, come se questa spezia esotica nascondesse un lato oscuro, o di galvanismo nei congelatori, quasi che l’elettricità potesse trasformare il gelato in un veleno. Alcune ipotesi rasentavano il comico, come quella dell’indigestione estrema, quasi a suggerire che lo stomaco fosse troppo delicato per sopportare tanta golosità.

Fu il medico Victor C. Vaughan a proporre negli anni 1880 una teoria che sembrò finalmente dare un nome al nemico: il ptomaine “tirotossicone”. Questa spiegazione, che attribuiva l’avvelenamento a composti tossici prodotti dalla decomposizione delle proteine, divenne il mantra della sicurezza alimentare dell’epoca.

La teoria del ptomaine, sebbene oggi superata, funzionò come un campanello d’allarme per la società. Improvvisamente, il gelato da simbolo di dolcezza estiva si trasformò in un potenziale pericolo pubblico, scatenando un’ondata di preoccupazione che spinse verso il miglioramento delle pratiche igieniche.

Oggi nessun problema: anzi, ne esistono alcuni che fanno bene anche all’ambiente!



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