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Il regista romeno intervistato da La Ragione, ‘il dovere dell’arte è anche mostrare cose scomode di cui preferiamo tacere’

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(Fotogramma)


Nell’ultimo film firmato da Cristian Mungiu, ‘Animali selvatici’ (nelle sale italiane da domani con Bim Distribuzione), troviamo lo studio meticoloso della natura umana e della contemporaneità fra tensioni, intolleranza e paura. Fra i più grandi autori del panorama europeo, il regista romeno ha analizzato le conflittualità del mondo di oggi attraverso la storia di un piccolo villaggio. E la sua visione è tutt’altro che fiduciosa: “‘Animali selvatici’ parla del mondo attuale, della nostra natura, di noi come esseri umani. Sicuramente non c’è molto ottimismo: siamo troppo spesso irresponsabili, privi di empatia, invidiosi, egoisti, irrazionali, impulsivi e aggressivi. Se guardiamo ai conflitti militari o alle diseguaglianze, rimarranno pochi motivi per essere ottimisti”, confida in un’intervista a La Ragione Cristian Mungiu, vincitore della Palma d’Oro a Cannes nel 2007 con ‘4 mesi, 3 settimane, 2 giorni’.

“Credo che il dovere dell’arte sia anche mostrare le cose scomode che preferiamo tacere”, dice il regista. Che aggiunge: “Guardate un po’ il livello dei dibattiti di ogni forum Internet su ogni problema più spinoso e vedrete riversati odio, cospirazioni e giudizi primitivi. Perché siamo arrivati a questo punto? Possiamo correggerci o semplicemente siamo fatti così? Ha senso il politically correct quando nell’essenza e nel privato pensiamo tutt’altra cosa? Non sarebbe più importante scoprire perché le persone provano questi sentimenti?”. Come molti altri film di Mungiu, ‘Animali selvatici’ mette al centro il tema del dilemma. “Credo che un film d’autore debba mettere in discussione questioni importanti a livello personale e sociale. Alla fine il cinema è anche un mezzo per sollecitare il tuo pensiero in modo profondo e riflettere sulla tua vita e sulle decisioni che prendi”.

Il cinema sta attraversando un momento di crisi e Mungiu ne è consapevole: “L’abitudine a vedere i film in pubblico insieme ad altri sta perdendo significato, ormai è diventato facile guardarli dal divano di casa e avere accesso contemporaneo a diverse opere. Serve molta volontà per uscire di casa. E poi c’è una crisi del cinema vero e proprio: produciamo troppi film, estremamente mediocri e inutili che sono il risultato di un sistema concentrato sulla quantità e non sulla qualità. Produciamo un’enormità di serie televisive, film e video di tutti i tipi: è un rumore visivo terribile e stancante, diventa difficile identificare qualcosa di ‘fresco’. Il ritmo della vita è cambiato insieme alle nuove tecnologie, la pazienza è diminuita ed è diventato difficile per molti spettatori concentrarsi su altro che non sia semplice intrattenimento. Il cinema dovrebbe essere anche molto altro”.

Per il regista romeno bisogna fare i conti anche con un problema ‘educativo’: “Non si insiste per una riscoperta dei film del passato, spesso veri capolavori. Se da bambino non vieni esposto a questo tipo di cinema, crederai che tutti i film debbano essere con i supereroi, le esplosioni e musica non stop. E le altre pellicole ti sembreranno lente, noiose”, conclude.

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