Negli ultimi decenni, l’importanza dei folati durante la gravidanza è diventata fondamentale nella medicina preventiva, con un focus particolare sulla riduzione del rischio di malformazioni congenite, in particolare i difetti del tubo neurale. Tuttavia, recenti ricerche suggeriscono che sia livelli insufficienti che eccessivi di folati potrebbero accrescere il rischio di cardiopatie congenite nei neonati, sollevando interrogativi sull’equilibrio necessario per uno sviluppo fetale sano.
L’integrazione di acido folico in gravidanza è iniziata negli anni ’90, quando studi riportarono che il suo utilizzo riduceva significativamente il rischio di difetti del tubo neurale. Di conseguenza, l’Organizzazione Mondiale della Sanità e altre autorità sanitarie raccomandarono alle donne in età fertile di assumere almeno 400 microgrammi di folato al giorno, specialmente nei primi mesi di gravidanza, per sostenere lo sviluppo del sistema nervoso fetale. Questa iniziativa ha portato anche alla fortificazione alimentare con acido folico in molti Paesi.
Tuttavia, nuove evidenze indicano che livelli di folati non equilibrati potrebbero comportare rischi. Uno studio recente, pubblicato su JAMA Network Open, ha esaminato il collegamento tra livelli di folato materno e il rischio di cardiopatie congenite (CHD), un problema che colpisce circa il 2,3% delle nascite. La ricerca, condotta da esperti del Guangdong Provincial People’s Hospital in Cina, ha coinvolto 129 neonati affetti da CHD e 516 senza difetti cardiaci.
Le madri sono state categorizzate in tre gruppi in base ai livelli di folati nel sangue. Si è osservata un’associazione a “U”: livelli troppo bassi o troppo alti di folato materno aumentano il rischio di CHD. In particolare, le madri con livelli bassi presentavano un rischio triplo rispetto a quelle con livelli medi, mentre le madri con livelli elevati avevano un rischio 1,81 volte maggiore.
Oltre ai folati, sono emersi come fattori cruciali la vitamina B12 e l’omocisteina. Mamme con carenza di B12 e basse concentrazioni di folato avevano un rischio fino a sette volte maggiore di avere figli con CHD. L’omocisteina, un amminoacido correlato a carenze nutrizionali, era anch’essa un importante indicatore di rischio.
In sintesi, lo studio evidenzia la necessità di un approccio personalizzato per l’integrazione di folati in gravidanza. È essenziale ottimizzare le raccomandazioni cliniche future per garantire un equilibrio nutrizionale durante la gestazione e ridurre i rischi di malattie congenite.