venerdì, Ottobre 4, 2024
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Il cuore al centro dell’attività del TFCPC


L’emozione del cuore che torna a battere dopo un intervento è senza dubbio una dei momenti centrali dell’attività del Tecnico della Fisiopatologia Cardiocircolatoria e Perfusione Cardiovascolare (TFCPC), professionista della sanità (oggi iscritto alla Federazione degli Ordini TSRM PSTRP) che vede il cuore al centro della sua attività. Ma nella rivoluzione tecnologica che sta attraversando la sanità, come ricorda il presidente della Commissione di Albo nazionale Salvatore Scali, questo professionista sarà decisivo nella robotica, nell’assistenza meccanica e nell’utilizzo dei cuori artificiali. «Con lo sviluppo della telemedicina – ricorda Scali – possiamo anche controllare da remoto pacemaker e defibrillatori evitando ai pazienti inutili spostamenti». In tutto 1700 i professionisti iscritti: «Un numero esiguo ma in crescita dopo il Covid» assicura Scali che però chiede di aumentare il numero di corsi universitari.

Presidente, cosa fa nel concreto un Tecnico della Fisiopatologia Cardiocircolatoria e Perfusione Cardiovascolare?

«Questa è una professione che ne comprende due nate negli anni ‘80, il Tecnico di Cardiologia e il Tecnico della Perfusione. Con il decreto ministeriale del 27 luglio 1998 le due figure sono state unificate. Questa figura si occupa prevalentemente delle malattie cardiovascolari, dal pediatrico all’adulto. Comprende tutte quelle patologie curabili attraverso la cardiologia e tutte quelle che sono curabili attraverso l’importante contributo chirurgico nella cardiochirurgia».

Voi siete quelli deputati alla circolazione extracorporea durante gli interventi…

«Esatto, ma non solo. Siamo pronti per operare nell’ambito della dialisi renale e peritoneale, della plasmaferesi, dell’aferesi terapeutica, citoaferesi. E su tutto quello che riguarda l’emorecupero, il recupero sangue, in tutte le chirurgie. Anche laddove c’è una perdita importante di sangue che va immediatamente trasfuso al paziente. C’è anche un ulteriore ambito terapeutico che è l’ipertermia blastica che riguarda tutti i pazienti che hanno problemi oncologici a cui devono essere infuse terapie antiblastiche ipertermiche nella parte colpita dal tumore. Con i nostri dispositivi extracorporei possiamo infondere questi farmaci».

Quanti professionisti perfusionisti ci sono in Italia?

«Oggi è obbligatoria l’iscrizione all’Ordine e abbiamo una stima dei colleghi impiegati nelle strutture o in regime di libera professione. Siamo circa 1700 in tutto il territorio nazionale. Questo numero è esiguo ma è in forte crescita. Nelle università italiane c’è stato un incremento nelle iscrizioni, l’effetto Covid ha determinato un interesse. I pazienti colpiti dal Covid sono stati assistiti attraverso circolazione extracorporea a medio-lungo termine. Va detto che il fabbisogno formativo universitario è limitato. Noi vorremmo aumentare i corsi di laurea a livello nazionale, oggi ne abbiamo 15 ma ne vorremmo di più per aumentare il numero degli iscritti».

Come convincerebbe un giovane ad intraprendere questa professione?

«La nostra professione è una professione sanitaria di aiuto, ma ha un quid in più dal punto di vista tecnologico e scientifico. Ci avviciniamo al paziente cardiopatico dal punto di vista chirurgico con la circolazione extracorporea e anche questo è un aspetto affascinante. Nel momento in cui il cardiochirurgo opera il paziente che ha una patologia cardiaca, deve necessariamente arrestare il cuore per poter effettuare le manovre chirurgiche. Quindi tutto l’aspetto circolatorio e respiratorio è gestito dalle macchine che seguiamo noi. Vedere ribattere il cuore nel momento in cui torna a battere autonomamente è molto emozionante ».

Ci sono alteri aspetti emozionanti nella vostra professione?

«Certo. Anche chi lavora nelle cardiologie, per tutte quelle patologie cardiologiche che lo richiedono, fare un elettrocardiogramma dà la possibilità di visualizzare le camere cardiache e dare il nostro contributo al cardiologo nella diagnosi. C’è poi tutto l’aspetto legato all’elettrofisiologia. Tutti i pazienti che hanno problemi di ritmo cardiaco hanno necessità di avere impiantati pacemaker e defibrillatori. Noi settiamo questi dispositivi e abbiamo la possibilità di controllarli da remoto, un ambito affascinante».

La circolazione extracorporea da quando si fa?

«È nata negli anni ’50: il professor John Heysham Gibbon l’ha immaginata e pensata. Per poter fare la circolazione extracorporea è necessario scoagulare completamente il sangue, e solo con la scoperta dell’eparina sodica abbiamo avuto questa possibilità. L’incremento maggiore lo abbiamo avuto negli anni ‘70 e ‘80. Quando si fa un trapianto di cuore è un evento molto emozionante. Il cuore di un donatore viene impiantato, quando il cuore ritorna a battere è emozionante, è la vita che continua».

La tecnologia è parte del vostro lavoro. Nella rivoluzione della sanità digitale che ruolo potete giocare?

«Penso alle sale operatorie ibride cardiovascolari. La robotica, l’assistenza meccanica, i cuori artificiali che sono di aiuto ai pazienti che non possono avere un cuore disponibile. E poi le assistenze cardiocircolatorie come l’Ecmo. Siamo preparati per usare tutte queste tecnologie».

Anche nell’implementazione della telemedicina potete essere di grande aiuto…

«Con il PNRR si sta cercando di potenziare la medicina del territorio. Un paziente che ha un pacemaker o un defibrillatore dovrebbe fare dei controlli periodici, ma spesso è un problema lo spostamento del paziente presso i centri specializzati. Questi dispositivi possono essere controllati da remoto, attraverso le nuove tecnologie di trasmissione dati si può avere un dispositivo che è collegato con i centri di riferimento dove ci sono dei nostri colleghi che lavorano in sinergia con i cardiologi per controllare lo stato della batteria, ecc. È questa la nuova frontiera».



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