giovedì, Ottobre 3, 2024
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la centralità del ruolo dell’infermiere


Le risorse in arrivo con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza comportano una serie di sfide che dobbiamo affrontare nell’ottica di una nuova, organizzata ed efficiente integrazione socio-sanitaria. Integrazione che, mi sia permesso dirlo, non è poi così scontata. Ne abbiamo parlato tanto ultimamente e io continuo a dire che forse dovremmo uscire, un po’ tutti, dalla logica di continuare a parlare di come costruire le case della comunità e dove metterle. Va benissimo, lo abbiamo fatto per più di un anno. Ma quel che io vedo, come professionista inserita nel sistema, è soprattutto che adesso abbiamo la necessità, strategica e prioritaria, di discutere per trovare il modello culturale e organizzativo da adottare. Questo perché le strutture di cui stiamo parlando possono camminare solo se è presente anche una condivisione di finalità e di scopi di cultura comune. E noi non siamo ancora entrati completamente in questa mentalità di integrazione e interconnessione. Se lo abbiamo fatto, l’abbiamo fatto ognuno per la propria famiglia professionale, ognuno per gli aspetti peculiari della propria attività.

Come coniugare Missione 6 e Missione 5 del PNRR?

Credo dunque che sia arrivato il momento di provare a capire non solo come stare dentro la casa della comunità, ma soprattutto come stare fuori di essa. Capire come stare fuori dalla casa di comunità significa provare a mettere insieme e coniugare la Missione 6 del PNRR con la Missione 5. Se noi pensiamo alla casa di comunità come ad un unico elemento sanitario, corriamo il rischio di trovarci di fronte ad uno dei tanti nodi di questa rete che continua a non essere rete. Credo che la vera sfida sia provare a capire come il Piano ci invita a riflettere sul modello organizzativo di questa rete.

Faccio queste considerazioni perché mi sto trovando in maniera diretta a sperimentare le indicazioni che arrivano dal PNRR, sia per il ruolo che ho in azienda sia per il ruolo di Presidente pro tempore della Federazione degli Infermieri, e ciò che vedo è una grande difficoltà culturale. Nessuna famiglia professionale è stata formata per fare il vero lavoro d’équipe multiprofessionale. Siamo tutti bravissimi nel nostro specifico ma facciamo fatica a capire che esistono modelli di lavoro di équipe che vanno oltre la gerarchia. Non è la gerarchia l’unico elemento che ci deve far lavorare insieme.

Cultura e formazione

Per questo il mio invito, rivolto a tutte le compagini della sanità italiana, è quello di provare a creare un laboratorio in cui tutti proviamo a discutere qual è la cultura che occorre ai professionisti, perché questa deve essere prima inserita nei piani formativi per poter entrare nei nuovi modelli organizzativi. L’alternativa è che saremo sempre orientati a valutare questi modelli con l’approccio che abbiamo sempre avuto. E allora è evidente che il problema è che tutti hanno bisogno di capire come stare dentro alle case di comunità. Trovo molto più complesso e strategico il fuori, perché la casa di comunità è un nodo di quella rete che noi dobbiamo andare a costruire mettendo insieme la Missione 6 con la Missione 5, avendo come substrato la Missione 1. Questo perché diventa fondamentale la digitalizzazione del paese e il supporto informatico di tutti i sistemi digitali.

La necessità di fare rete

E allora se la casa di comunità è un nodo di questa rete, gli altri nodi, ovvero gli studi dei medici di medicina generale, le farmacie, gli ambulatori specialistici, tutte le strutture assistenziali e socio assistenziali, residenziali e semi residenziali, tutta la rete del terzo settore, tutta la rete delle amministrazioni locali, compresi i servizi sociali e comunali, con tutta la rete del volontariato, associazioni di pazienti e cittadini, tutti insieme dobbiamo capire, noi professionisti, come ci inseriamo all’interno di questi modelli, che cosa significa essere un nodo della rete, cosa significa lavorare su processi di lavoro non più verticali e gerarchici ma orizzontali, che cosa significa partire dal bisogno del paziente.

Credo che su questo dobbiamo fare lo sforzo di capire qual è il contributo che ogni famiglia professionale può dare dentro questi modelli. Il rischio è quello di restare chiusi ognuno nel proprio specifico disciplinare. Il quale è certamente fondamentale, ma lo è perché è ciò che ci mette nella condizione di confrontarci e lavorare insieme agli altri. La ricchezza sono tutti gli altri nodi che noi già abbiamo, che abbiamo bisogno di connettere perché oggi il tema è che il cittadino, che ha un bisogno socio sanitario, si connette da solo in diversi servizi e questi devono dialogare tra loro e lavorare insieme.

Informatizzazione e digitalizzazione

L’informatizzazione e la digitalizzazione del Paese sono, da questo punto di vista, un elemento fondamentale. Non mi stancherò mai di dirlo: abbiamo una miriade di sistemi informativi che non sono interoperabili e che non parlano fra di loro. I medici di medicina generale hanno le loro cartelle, i pediatri lo stesso, il fascicolo sanitario elettronico raccoglie gran parte dell’attività sanitaria ma solo quella pubblica, in quanto il privato accreditato non compare. I servizi socio assistenziali territoriali spesso hanno le loro cartelle e i comuni hanno le cartelle sociali, ma questi sistemi dialogano? Credo che anche questa sia una riflessione da fare, al netto di tutti i problemi di privacy, di tutela e riservatezza dei dati. È importante perché i diversi attori di questi nodi devono poter almeno visionare, per un allineamento informativo, quella che è la storia del paziente e del cittadino. Tutto ciò è necessario per provare a fare una lettura integrata delle Missioni 1, 5 e 6 del PNRR.

Ora però c’è da lavorare sulla cultura. È questo un passaggio difficile, in quanto la cultura e la formazione di un professionista non possono essere sviluppate in 12 ore o con corsi smart, ma si tratta di un lungo momento di apprendimento. E forse qui occorre anche provare a ripensare i percorsi formativi delle singole professioni. Se dobbiamo condividere modalità e strategie di intervento per la sanità di iniziativa, per la Population health management e per la riconnessione di una componente sociale, credo si debba cambiare anche l’ottica di alcuni momenti formativi.

Sono sempre stata convinta che il sistema sociale fosse organizzato in una logica meno per silos e meno verticistica. Mi sono dovuta ricredere ma anche dialogando con gli assistenti sociali, i dirigenti degli uffici di piano, i dirigenti dei servizi sociali e delle singole amministrazioni, ho capito che anche loro hanno un problema di silos e confini. Quindi credo che la riflessione possa essere estesa al sanitario, come al socio sanitario e come al sociale.

Una frammentazione che viene dall’alto

Questa frammentazione, però, non parte dai professionisti. È una frammentazione che parte molto a monte, ovvero dai livelli istituzionali di riferimento. Quindi occorre forse lavorare a monte su cosa prevedere.

In conclusione, mi sento di dire che i veri temi su cui bisogna lavorare sono, in primis, l’interconnessione rispetto alla Missione 1, e quindi la necessità di avere dei sistemi interoperabili e una visione che garantisca l’interoperabilità dei diversi strumenti di raccolta dei bisogni dei cittadini. Bisogna poi lavorare sulla cultura e sulla formazione dei professionisti, e magari iniziare anche a capire quali possono essere gli elementi istituzionali di raccordo, anche a livelli alti. In questo disegno, la professione infermieristica intende collocarsi come un attore importante, anche in virtù del ruolo previsto dal Patto della salute 2019-2021 e poi riattualizzato e formalizzato attraverso tutti i decreti legati alla fase di emergenza (e quindi dal Decreto 34 in poi, sull’infermiere di famiglia e comunità). In questa logica di sanità proattiva e di prossimità, l’infermiere può essere l’elemento pivot che prova a tenere insieme questa rete e crea i collegamenti al suo interno, in una logica più avanzata rispetto a quella del semplice case manager.

 

Barbara Mangiacavalli (Presidente Fnopi)

 

 



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