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La comunicazione tra medico e paziente, in particolar modo quella in oncoematologia pediatrica, è un viaggio all’insegna dell’empatia, della speranza e del coraggio. In questo campo, i medici condividono informazioni cruciali e si immergono nelle storie personali dei bambini e delle loro famiglie, dando loro forza e conforto.

Parole e gesti devono essere pensati per infondere fiducia e speranza nei piccoli pazienti, anche nei momenti più difficili. È un dialogo che supera ogni barriera,abbracciando le paure e i sogni dei bimbi.

Questo legame profondo è il cuore pulsante della cura, capace di trasformare la lotta contro la malattia in un percorso condiviso di resistenza e amore. Il rischio è che la cura venga intesa, per pressione di natura economica, sempre più come l’erogazione di prestazioni.

Fondamentale la comunicazione tra medico e paziente

La comunicazione tra medico e paziente, soprattutto quella in oncoematologia pediatrica, è, dunque, cruciale nell’ambito della cura.

«Il percorso di trattamento di malattie a prognosi molto severa richiede un’alleanza molto forte». Lo dichiara all’agenzia Dire Carlo Alfredo Clerici, professore associato di Psicologia Clinica all’Università degli Studi di Milano Statale. «Alleanza resa ancora più complessa dal fatto che in questo caso c’è un paziente. Ma anche una coppia di genitori e un intero nucleo familiare che soffre e che vive l’esperienza della patologia. Ecco, dunque, che la comunicazione è qualcosa che deve riguardare direttamente sia il paziente sia il suo contesto».

Nell’ottica di un miglioramento del percorso terapeutico, infatti, l’empatia riveste un ruolo fondamentale nella pratica clinica.

Istituito il gruppo di lavoro per la comunicazione  

Il 10 ottobre 2022 è stato istituito un gruppo di lavoro sul miglioramento della formazione alla comunicazione in oncologia pediatrica. Il gruppo ha ricevuto l’approvazione del consiglio direttivo dell’Associazione italiana di ematologia e oncologia pediatrica (Aieop). E anche della Federazione italiana associazioni genitori e guariti oncoematologia pediatrica (Fiagop).

«L’idea – afferma Clericinon era quella di organizzare un incontro in cui si raccontano storie ed esperienze senza poi proporre un contributo propulsivo. Bensì quella di costituire un gruppo di lavoro per osservare e studiare la realtà della formazione. Proprio per cercare di capire quale fosse la situazione per poi avanzare proposte e ottenere progressi tangibili. Questo gruppo ha lavorato per un anno, fotografando la situazione internazionale e osservando che vi sono molte cose che si potrebbero fare».

La comunicazione non è un aspetto accessorio della cura

Secondo Clerici, la comunicazione non è un aspetto accessorio della cura, ma è un aspetto centrale. Dare valore a questa parte della cura, della relazione non si perde mai. 

Sono passati quasi due anni dall’istituzione del gruppo di lavoro. L’obiettivo è stato quello difotografare l’esistente e, allo stesso tempo, di concentrare l’attenzione su un tema che sembrava rimasto in ombra. I pazienti, specialmente se piccoli, vogliono avere la certezza di non essere abbandonati, di non rimanere da soli di fronte alla malattia. E vogliono essere fiduciosi che si possa sempre fare qualcosa per poter stare meglio. Questo si traduce poi in una speranza: quindi, una buona relazione ha una influenza molto importante, purché sia ovviamente accompagnata da una buona tecnica. 

La cura, difatti, è anche un percorso di solidarietà.

«La nostra società, d’altronde, si definisce su come è capace di prendersi cura delle persone in situazioni di fragilità», evidenzia Clerici.

La formazione nella comunicazione è sempre più necessaria

La pediatria e l’oncoematologia pediatrica pongono il medico di fronte a una triade: il bambino o l’adolescente e i suoi genitori, ove entrambi presenti. La relazione terapeuticaquindi, ha la necessità di essere impostata su tre canali, perché rivolta verso tre individui distinti.

Questo dettaglio rende la comunicazione molto più complessa e articolata e, di conseguenza, la formazione è ancora più necessaria. 

«Negli ultimi anni – dichiara Clerici – c’è stata la nascita di un’attenzione dedicata agli adolescenti che, in passato, erano spesso inquadrati già nel mondo dell’adulto. Pensare che l’adolescente come soggetto in crescita, quindi incapace di autodeterminarsi, vada ascoltato in modo specifico è senza dubbio una competenza ulteriore. Senza dimenticare un’attenzione dell’oncologia dell’adulto che vede soggetti giovani. Quindi mi riferisco non solo alla stretta età pediatrica, ma anche a quella di passaggio tra adolescenza ed età giovane-adulta».



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