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Uno studio multicentrico coordinato dall’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive Spallanzani di Roma e dal San Raffaele di Milano ha rivelato un’importante associazione tra la carica virale del virus Mpox (precedentemente noto come vaiolo delle scimmie) e la gravità della malattia, pubblicato su eBioMedicine. L’analisi ha esaminato 541 pazienti, parte di un totale di 1.056 casi segnalati in Italia.

Secondo Valentina Mazzotta, una delle autrici principali dello studio, una carica virale più alta nel tampone faringeo è correlata a un decorso clinico più grave. Altri fattori identificati come indicatori di maggiore gravità includono l’etnia caucasica, l’insorgenza iniziale di febbre, lesioni nel cavo orale e linfoadenopatia (sviluppo di linfonodi ingrossati). Mazzotta ha sottolineato che l’Mpox ha una prospettiva di durata più lunga in caso di localizzazione ano-rettale, oro-faringea ed eruzioni cutanee estese, soprattutto in pazienti con HIV e grave immunodeficienza.

L’Mpox rappresenta un’emergenza di salute pubblica internazionale, diffondendosi prevalentemente attraverso contatti sessuali. Dopo un periodo di incubazione, la malattia presenta sintomi come febbre, forte mal di testa, linfoadenopatia e affaticamento, seguiti da un’eruzione cutanea che inizia tipicamente dal viso per poi estendersi ad altre parti del corpo. Il coinvolgimento delle mucose orali e genitali è comune e può portare a complicazioni gravi, incluso il rischio di cecità da ulcere corneali.

Lo studio effettuato rappresenta una prima evidenza documentata in letteratura dell’effetto della carica virale sulla morbilità dell’Mpox, suggestiva di un impatto significativo della replicazione virale sulla gravità della malattia. Andrea Antinori, direttore del Dipartimento clinico dell’INMI Spallanzani, ha affermato che controllare la replicazione virale, come avviene con la vaccinazione, potrebbe offrire protezione dall’infezione e dalla malattia severa.

Dopo la dichiarazione di emergenza globale per l’Mpox il 14 agosto 2024, si segnala la preoccupazione per un nuovo sottotipo emergente e la sua diffusione nella Repubblica Democratica del Congo e nei paesi circostanti. I risultati dello studio rappresentano una speranza per affrontare questa emergenza, evidenziando l’importanza dei centri di eccellenza in Italia nella gestione di tale epidemia.

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