mercoledì, Ottobre 2, 2024
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Nuove rivelazioni sul DNA dei mammut grazie alla loro pelliccia



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I mammut hanno sempre affascinato gli scienziati, dai primi reperti che furono rinvenuti in Europa a partire dalla fine del Rinascimento. Il fatto che degli enormi elefanti lanosi vagassero nel cuore del continente europeo, mentre il mondo era stretto nella morso del ghiaccio, ha infatti colpito l’immaginazione di molti, rendendoli fra gli animali più popolari ed apprezzati della preistoria.

Recentemente, uno studio unico nel suo genere ci ha d’altronde dimostrato che questi poderosi animali (leggermente diversi dai Mastodonti) nascondono ancora – dopo svariati secoli di studi e di approfondimenti – molti segreti, pronti per essere svelati dagli studiosi.

Alcuni scienziati dell’Università di Copenaghen sono riusciti a determinare la struttura tridimensionale del loro DNA, dopo che hanno estratto il loro genoma da alcune cellule di pelle conservatisi perfettamente in un lembo abbastanza consistente di pelliccia.

Questo risultato è un passo molto importante verso il definitivo sequenziamento del loro genoma, un obiettivo che è stato ritenuto fino a questo momento impegnativo da molti scienziati, per colpa del grande numero di delezioni e di buchi che si possono trovare nel loro DNA antico, fortemente degradato.

“Finora, potevamo studiare solo piccoli frammenti di DNA antico per volta” ha dichiarato uno degli autori principali della scoperta, Juan Antonio Rodríguez. “Questi frammenti erano lunghi fino a circa 100 lettere di DNA, ma non sapevamo quale fosse il loro ordine all’interno del genoma. Una condizione che impediva ai genetisti di studiare i geni e che è molto simile a quando un rilegatore deve realizzare un libro di centinaia di pagine, prive tuttavia di numero”.

La determinazione tridimensionale della struttura del loro genoma aiuta tuttavia gli scienziati a risolvere questo problema, mettendo dell’ordine fra “le pagine” dei geni dei mammut.

L’esemplare a cui apparteneva la pelliccia da cui sono state estratte le sequenze geniche visse al termine dell’era glaciale, circa 52.000 anni fa, ed è considerato molto particolare poiché conserva ancora buona parte delle sue strutture cromosomiche. È stato rivenuto nei pressi di Belaya Gora, in Siberia, nel 2018 e per tutto questo tempo è rimasto nascosto sotto il permafrost, completamente ghiacciato.

Sono state proprie le basse temperature a far sì che le cellule di questo mammut si conservassero e non subissero i processi di decomposizione, che alterano pesantemente la struttura stessa dei geni fino a rendere irriconoscibile il DNA.

Secondo Juan Antonio Rodríguez, la pelle di quest’esemplare – soprannominato Yaklnf – si è conservata così bene anche perché a differenza di altri reperti ha subito sia il processo di liofilizzazione, che comprende la disidratazione a basse temperatura, come quello di vetrificazione, che ha reso i suoi tessuti estremamente asciutti e viscosi. Come il vetro, appunto.

Per osservare la struttura tridimensionale del genoma di Yaklnf, gli scienziati hanno dovuto usare una tecnologia innovativa, nota come High-Throughput Chromosome Conformation Capture Technique (Hi-C), che consente di rilevare e confrontare sezioni di DNA antico con alcuni campioni moderni, in modo da ricostruire artificialmente l’impalcatura del genoma.

Si è così scoperto che i mammut lanosi (Mammuthus primigenius) avevano 28 cromosomi, come gli elefanti moderni, e che al momento della morte di Yakinf alcuni di essi erano attivi.

Queste scoperte sono state pubblicate lo scorso giugno sulla rivista Cell, ma è ancora troppo presto immaginare che da queste informazioni sia possibile riportare in vita un mammut. La de-estinzione di questo animale, da tempo immaginata da alcune aziende biotecnologiche, è ancora lontana.



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