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Il 23 settembre 2024, durante il processo presso la corte d’Assise di Venezia per l’omicidio della giovane Giulia Cecchettin, suo padre Gino ha espresso sentimenti di grande dolore e rispetto verso le istituzioni. Ha dichiarato di avere fiducia nel lavoro dei giudici, affermando di non auspicare né vendetta né trattamenti di favore. Gino ha sottolineato che la pena inflitta sarà quella giusta e che il suo desiderio è che il processo sia equo.

Gino ha condiviso la difficoltà di trovarsi in aula, dicendo che la presenza al processo rinnovava il suo dolore, ma era anche un atto doveroso di rispetto per la corte. Egli vive il lutto quotidianamente, senza un giorno in cui non pensi alla figlia. Non ha timore di un eventuale confronto con l’imputato, Filippo Turetta, poiché ha già subito il danno in modo ineluttabile. Ha affermato di non avere nulla da dire a Turetta, evidenziando che la scelta di partecipare al processo spetta al suo ex fidanzato.

Inoltre, nell’ambito della richiesta di costituzione di parte civile, Gino Cecchettin, assistito dall’avvocato Stefano Tigani, ha indicato un risarcimento danni di circa un milione di euro. Tuttavia, la corte ha ammesso come parte civile solo i familiari di Giulia: il padre Gino, i fratelli Elena e Davide, lo zio Alessio e la nonna Carla Gatto. Sono state respinte, invece, le richieste di costituzione da parte di quattro associazioni nazionali contro la violenza di genere e altri enti locali, in quanto la corte non ha riscontrato un danno diretto rispetto all’omicidio di Giulia.

Il processo ha quindi messo in luce non solo il dolore di una famiglia colpita da una tragedia, ma anche le questioni legali e morali che emergono in casi di omicidio, in un contesto dove il rispetto della giustizia e la ricerca della verità devono prevalere. La vicenda continua a suscitare attenzione e discussione sulla violenza di genere e sulle sue conseguenze devastanti.

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