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Amore, amicizia, intrighi di palazzo, amor di Stato e potere vanno in scena nell’opera che aprirà la stagione scaligera

(foto Brescia e Amisano)
(foto Brescia e Amisano)

Amore, amicizia, intrighi di palazzo, amor di Stato e potere. Ma anche lo spirito dello Sturm und Drang tedesco e la fragilità dell’animo umano. Nel ‘Don Carlo’ di Giuseppe Verdi, che aprirà la stagione 2023/224 del Teatro alla Scala il 7 dicembre prossimo, va in scena la tragedia delle passioni. Tutti temi presenti nel ‘Don Karlos, Infant von Spanien’, tragedia in cinque atti di Friedrich Schiller ispirata dai versi anonimi usciti a Weimar. L’opera venne rappresentata per la prima volta il 29 agosto 1787 al Deutsches Schauspielhaus di Amburgo ed è incentrata attorno alla figura di Rodrigo, marchese di Posa, che incarna la tolleranza in contrasto all’assolutismo di Filippo II di Spagna. L’opera, per questo, presenta dei temi che incarnano perfettamente lo spirito dello Sturm und Drang.

Secondo alcuni nell’opera di Schiller traspare inoltre il mito del complesso edipico freudiano, in particolare nel rapporto tra Filippo e il figlio Carlo, che contende al padre l’amore di Elisabetta di Valois, moglie del monarca spagnolo, e nel tema dell’infanticidio. Il dramma schilleriano è stato la fonte principale di Giuseppe Verdi per il suo ‘Don Carlo’, opera in 5 atti, rappresentato per la prima volta a Parigi l’11 marzo 1867. Verdi stesso ispirò a sua volta Fëdor Dostoevskij per ‘Il grande Inquisitore’, il racconto che Ivan espone al fratello Alyosha nel romanzo capolavoro dello scrittore russo, ‘I fratelli Karamazov’. Verdi, decidendo di mettere in scena il poema drammatico di Schiller, tornava a un amore di lunga data: era infatti la quarta volta, dopo Giovanna d’Arco, I masnadieri e Luisa Miller, che si accostava a un lavoro del drammaturgo tedesco per metterlo in musica.

Nel dramma schilleriano, ambientato nella Spagna del XVI secolo, Verdi rintracciava una tesi di fondo di natura etica e ideologica, che condivideva profondamente e dalla quale si sentiva attratto: l’idea che l’assolutismo e la ragion di Stato, qui incarnati dal re di Spagna Filippo II, siano inconciliabili sia con le inclinazioni personali sia con l’aspirazione alla libertà dei popoli, di cui si fa portavoce Rodrigo, il marchese di Posa. Il contrasto politico, dal quale si sprigiona una grande forza drammatica, è dunque uno dei grandi temi di fondo dell’opera verdiana. Altrettanto intrigante doveva essere, per il compositore, il motivo dell’amore tra la regina e l’infante, impossibile per ragioni politiche e causa della loro personale tragedia. Verdi, infine, doveva sentirsi attratto da un altro motivo ancora, quello della nobile e disinteressata amicizia tra Carlo e Rodrigo, che si vena di motivazioni patriottiche nel momento in cui il secondo conquista il primo alla causa del popolo fiammingo.

Verdi si mantenne sostanzialmente fedele allo spirito del denso dramma di Schiller e ne trasse, dopo averlo meditato a lungo, una delle sue partiture più monumentali. ‘Don Carlos’, il cui libretto fu steso in lingua francese da Joseph Méry e Camille du Locle, fu preparato per l’Opéra di Parigi, dove andò in scena l’11 marzo 1867. Per incatenare l’attenzione degli spettatori Verdi fece affidamento sul dramma interiore dei personaggi che agiscono sulla scena. Così facendo, il musicista italiano seguiva la propensione personale a un diverso linguaggio drammatico, che non sempre si conciliava con la grandiosità spettacolare dell’Opéra: al pubblico parigino Verdi impose quei meccanismi drammatici, concisi e pregnanti, e quella concezione del teatro che ‘Don Carlo’ già in patria ne avevano decretato il travolgente successo.

Dall’opera originale francese, in cinque atti, Verdi ricavò anni dopo una versione italiana dalla quale eliminò, oltre all’atto iniziale, i ballabili; con il titolo Don Carlo, la versione in quattro atti venne presentata alla Scala il 10 gennaio 1884 e rimase – lo è ancor oggi – la più frequentemente rappresentata. L’opera verdiana fa agire sulla scena una vera galleria di anime inquiete. Al centro sta la figura di Filippo II, re di Spagna e padre di Don Carlo; il soliloquio introspettivo ‘Ella giammai m’amò’, sottolineato dalla dolente melodia dei violoncelli, traduce l’impotenza del potere reale davanti all’animo umano e restituisce magistralmente tutta la complessità psicologica del personaggio.

L’evoluzione della figura di Elisabetta conduce quest’ultima dalla grazia sorridente delle sue iniziali inflessioni melodiche verso un canto spezzato e teso che esprime la sofferenza, l’oppressione dolorosa di un destino che la condanna a un matrimonio senza amore; il momento chiave del personaggio è ‘Tu che le vanità’, un monologo rassegnato ma sereno, dolcemente avviluppato negli arpeggi dei legni. Don Carlo, l’innamorato spinto dalla forza della passione e delle sue giovanili illusioni, mostra la sua evoluzione soprattutto negli intensi duetti con Elisabetta, nei quali passa dalla pienezza del sentimento amoroso alla disperazione e poi alla rassegnazione dell’addio. Non meno complesse, né meno sfaccettate, sono le figure della principessa d’Eboli e del marchese di Posa. Sullo sfondo l’atmosfera, opprimente e un po’ morbosa, dell’Inquisizione, che nella sua severità contrasta singolarmente con la fragilità dei sentimenti umani. Numerose le scene dal grande impatto drammatico.

Nella terribile scena del Grande inquisitore, in cui l’inquietante vecchio pretende dal re il sacrificio del marchese di Posa alla ragion di Stato, si assiste alla contrapposizione tra due forti volontà, nel quale si incarna l’eterno scontro tra il potere temporale e l’ecclesiastico. Trascinante il canto delle voci congiunte ed esaltate di Carlo e Rodrigo, che nel loro duetto celebrano, a ritmo di marcia, l’amicizia fraterna. Teso e grandioso il finale dell’Atto secondo, con le voci della folla accorsa all’autodafé, la marcia funebre minacciosa e cupa, la voce mistica che dal cielo promette ai defunti la pace celeste, il colpo di scena dell’arrivo dei deputati fiamminghi, venuti a perorare la loro causa davanti al re. È una grande scena che concentra il conflitto drammatico e sintetizza lo scontro tra le forze negative e positive del dramma.

La musica di Verdi, con somma abilità introspettiva, dà espressione a ogni sfumatura psicologica, a ogni variazione di carattere. Anziché abbandonarsi al tradizionale florilegio melodico dell’opera italiana e incasellare la sua musica nei pezzi chiusi, Verdi impiega un linguaggio moderno, armonie cromatiche e instabili, effetti orchestrali ricchissimi e ricercati, e soprattutto forme fluide e flessibili. L’opera che scaturisce dalla sua fantasia creatrice non si lascia catalogare nelle anguste categorie di un genere, tanto meno in quelle del grand opéra. Forse meno unitaria di altre opere verdiane, in ‘Don Carlo’ sono però ineguagliate la potenza dello scavo psicologico, la forza drammatica e l’efficacia rappresentativa.

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