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Dopo 49 anni, si riapre il processo riguardante il caso di Cristina Mazzotti, una giovane di 18 anni rapita e uccisa nel 1975 da una banda legata alla ’ndrangheta calabrese. I principali accusati sono tre uomini di età avanzata, Giuseppe Calabrò, Antonio Talia e Demetrio Latella, quest’ultimo già condannato all’ergastolo per reati legati alla criminalità.

Il rapimento di Cristina avvenne tra il 30 giugno e il 1 luglio 1975, durante un periodo in cui avrebbe dovuto celebrare il suo diploma. È stata la prima donna e la più giovane vittima di un sequestro da parte dell’Anonima sequestri calabrese in Lombardia. La Corte d’Assise di Como sta riesaminando il caso, nel quale Latella, già incriminato nel 2007 grazie a impronte trovate sulla macchina di Cristina, ha confessato il suo coinvolgimento e ha accusato i colleghi.

Nel 2007, l’inchiesta prese una piega nuova quando furono trovate un’impronta palmare e due digitali sulla Mini Minor in cui viaggiava Cristina. Tuttavia, il trasferimento del caso da Torino a Milano non portò a sviluppi concreti. Nel 2012, il pubblico ministero decise di archiviare l’inchiesta per prescrizione dei reati, ma nel 2015 una sentenza della Cassazione stabilì che il reato di omicidio volontario non è soggetto a prescrizione, permettendo la riapertura del caso.

Nuove indagini, avviate grazie a un esposto dell’avvocato Fabio Repici, hanno portato all’inclusione nel registro degli indagati anche di Giuseppe Morabito, accusato di aver fornito il veicolo usato dai rapitori. Cristina fu tenuta in prigionia in condizioni disumane, costretta a prendere medicinali e senza possibilità di muoversi, fino alla sua morte, avvenuta tra luglio e agosto del 1975, mentre il padre stava pagando il riscatto.

Nel 1977, le indagini portarono a 13 condanne, ma nessuno fu riconosciuto come esecutore materiale del sequestro. Con la riapertura delle indagini, si spera che finalmente si possa ottenere giustizia per Cristina Mazzotti e per la sua famiglia.

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